La parola all’avvocato
L’esito della prima parte dell’indagine svolta dall’Autorità Antitrust (che prevede di concludere per la fine del 2018) sul rapporto tra le imprese che forniscono servizi digitali e gli utenti che forniscono dati personali.
La pubblicazione riguarda gli esiti dell’indagine svolta a fine febbraio 2018 con un questionario atto a indagare la propensione degli utenti a consentire l’uso dei propri dati a fronte dell’erogazione di servizi, sulla base delle risposte fornite da oltre duemila utenti di età superiore ai sedici anni, con una lieve maggioranza in possesso di un diploma di scuola media superiore.
Da un primo set di risposte, l’Autorità evidenzia come vi sia un grado di consapevolezza diffuso nel 60% circa degli intervistati sulle potenzialità connesse alla cessione dei propri dati personali in fase di utilizzo di applicazioni o di navigazione su siti web. Tale percentuale è più alta per quanto concerne le attività di geolocalizzazione e più bassa (circa il 50% del campione) con riferimento alla consapevolezza del fatto che alcune applicazioni possano avere autonomo accesso alla rubrica dei contatti, al microfono e alla fotocamera del dispositivo dell’utente.
L’indagine tuttavia non mostra risultati disaggregati in base al titolo di studio di coloro che hanno risposto, così impedendo di capire se vi sia o meno una relazione diretta tra il livello di istruzione e la consapevolezza sulle conseguenze della cessione dei propri dati nell’ambito dei servizi internet.
Emerge invece un giudizio prevalentemente negativo sulle informative rese dai fornitori di servizi, giudicate ora di difficile comprensione, ora incomplete (sulle modalità di utilizzo dei dati acquisiti), ora scritte in caratteri troppo piccoli, tali da distogliere l’utente dalla lettura completa di esse (cosa che fa solo 1 su 8 degli intervistati).
Altro profilo di interesse per gli operatori del digitale è rappresentato dalle motivazioni per cui gli utenti negano il consenso all’utilizzo dei propri dati (cosa che 1/3 degli intervistati ha dichiarato di aver fatto “spesso” e quasi la metà ho dichiarato di aver fatto “raramente”), dove è possibile individuare una sorta di tripartizione delle ragioni.
In pratica chi nega il consenso dichiara di farlo o perché l’informativa gli appare poco chiara, oppure per la preoccupazione che i propri dati siano ceduti a fini pubblicitari ovvero a fini diversi dalla pubblicità. Tale dato va posto in correlazione con gli elevati tassi di giudizio di “fastidio” che gli utenti esprimono per i messaggi pubblicitari connessi all’uso di app gratuite.
Infine è curioso notare che, pur essendo la maggioranza degli utenti consapevole della relazione esistente tra gratuità del servizio e acquisizione/utilizzo dei propri dati, solo una piccola minoranza (il 10% del campione intervistato) si dichiara disposta a pagare pur di continuare a usare il servizio evitando la cessione dei propri dati. È invece maggiore il numero di coloro che preferiscono rinunciare del tutto al servizio digitale fruito.
Nella foto Avv. Diego Maria Poggi, Torino